mercoledì 5 giugno 2019

Reindirizzamento

   Come accade spesso nella vita è necessario cambiare, rinnovarsi, cambiare prospettiva e vedere la propria esistenza da nuove angolazioni o punti di vista. Abbracciare il cambiamento sembra essere il mio mantra ultimamente, sia dal punto di vista lavorativo che personale.
E allora eccomi a presentare il mio nuovo blog: La scatola viola infatti cambia sede, grafica e indirizzo.
Una nuova versione de La scatola viola vi aspetta su Altervista a questo indirizzo:
http://lascatolaviola.altervista.org/

Venite a trovarmi per scoprire nuovi contenuti e articoli.
Vi aspetto!

Sara T.


giovedì 10 gennaio 2019

Il peso del passato, la scrittura come terapia e la gratitudine

   Ho sempre sentito potente il potere salvifico delle parole. La potenza di una sillaba, pronunciata con il giusto tono, addolcita con delicatezza o più semplicemente scritta, lasciata in eredità a un ipotetico lettore come imperituro segno del nostro passaggio in questa esistenza. E siccome non credo che questa sia l'unica esistenza ma che siamo stati e saremo qui per una serie infinita di passaggi e una serie infinita di esperienze, credo che lasciare un segno di sé possa essere non solo terapeutico per noi stessi ma perché no, un aiuto a chi verrà dopo e si troverà magari nella nostra stessa situazione.
   Non parlo di problemi la cui gravità richiede l'intervento di uno specialista, parlo di piccole cose, piccole vicissitudini con le quali bene o male tutti noi siamo chiamati a confrontarci ogni giorno, ogni qualvolta ci imbattiamo in una persona che spinge il proprio comportamento oltre i limiti del buon senso, ogni volta che sbattiamo la faccia contro il vetro della disillusione o dell'indifferenza altrui, o ci troviamo a doverci confrontare con aspettative troppo elevate e i risultati ci hanno deluso.
   Scrivere e farsi leggere è una necessità, un bisogno che trova spazio nella mia vita in maniera a volte discontinua. Soffro di incostanza, e chissà, forse è una malattia, forse solo un riflesso della mia creatività che sembra seguire le onde del tempo e adeguarsi alle stagioni senza distribuire i suoi preziosi diamanti con una cadenza regolare. Non ho mai capito perché la necessità di scrivere mi abbia preso in ostaggio sin da ragazzina, non ho mai dato peso al fatto che scrivere fosse per me una necessità così presente, al punto che ogni sera prima di addormentarmi formulo pensieri del tipo: Oggi non ho scritto nulla al di fuori della lista della spesa e quell'email per lavoro, che spreco di tempo.
   Ecco, il senso di colpa verso me stessa o meglio, verso la mia scrittura, si presenta prepotente a farmi la morale, a insinuare che un certo tempo che ho usato in altra maniera lo avrei potuto impiegare scrivendo e così quel romanzo che aspetta un finale da quanto, un anno? Poteva essere già concluso... E via discorrendo.
   Convivo con questo senso di colpa da tempo, è uno di famiglia ormai, potrei ignorarlo, fingere di non sentirne la voce, ma tanto lui se ne sta lì tranquillo e pronto a saltar fuori nei momenti meno opportuni.

   Sono successe tante cose nella mia vita, non di tutte ho scritto. Perché ci sono dei momenti che si vorrebbero dimenticare o lasciare che il tempo faccia la sua magia rendendo certi ricordi sfuocati e poi trasparenti fino quasi a farli svanire, mescolati alle nuvole. E lasciare delle tracce scritte di quegli eventi non sempre è terapeutico, anzi, la difficoltà del riuscire a parlarne o a scriverne rende l'idea di quanto ampie possano essere state le ferite da loro prodotte. Certe porte vanno solo lasciate chiuse per proseguire il cammino con più leggerezza.
   E per leggerezza non intendo menefreghismo o superficialità, ma quella leggerezza nel passo, nel cuore, quel riuscire a camminare senza il peso di eventi che non ci è dato di poter cambiare, che appartengono al passato e lì devono rimanere. Tra i tanti insegnamenti che ho ricevuto da guru e maestri lungo la via ritrovo proprio questo: accettare ciò che è stato, perdonare per stare bene con noi stessi, ma soprattutto camminare con passo leggero.
   Ho pile di quaderni e diari a cui ho affidato riflessioni di ogni genere fatte di inchiostro, ma appartengono al passato, da tempo ormai non tengo più un diario. Lo scorso natale però, mi è stata regalata un'agenda piena di disegni dai colori vivaci e arricchita con citazioni di un autore molto amato, Paulo Coelho. Appena voltata la prima pagina ho capito come averi riempito quelle dieci righe quotidiane: con la gratitudine. Ogni sera dedicherò un momento per passare in rassegna la giornata appena trascorsa e lascerò per iscritto di cosa sono grata.
   Ed è incredibile quante cose piccole e grandi per cui essere grati ci accadono ogni giorno, e davvero dieci righe non bastano. Provare per credere.
  La gratitudine ha un potere che va molto oltre ciò che possiamo immaginare, sperimentarlo dovrebbe essere uno degli scopi per cui ci troviamo qui.



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mercoledì 19 dicembre 2018

Il cambiamento: spauracchio o necessità.

Una delle cose che più temiamo in quanto esseri umani è il cambiamento.
Cambiare spaventa, non c'è storia. Ognuno di noi prova almeno un po' di ansia in vista di un trasloco, di un cambio di lavoro, di un imprevisto che rimescola le carte in tavola e ci costringe a modificare i nostri piani o ad annullarle ciò che ci eravamo prefissati.
Cambiare: verbo che implica una modifica di stato, una trasformazione, una sostituzione, l'assumere un aspetto diverso.
Il cambiamento fa parte della vita stessa, nulla resta immutato nel tempo, nel mondo naturale tutto è soggetto a cambiamento di stato, il concetto stesso di evoluzione implica che sia in atto una qualche mutazione in funzione del raggiungimento di nuovi risultati, nuove forme, miglioramenti e obiettivi.
Opporsi al cambiamento perché se ne ha timore è comune nei tempi moderni, ma non è certo una malattia di recente acquisizione: infatti la saggezza popolare ci insegna che "lasciando la strada vecchia per la nuova si sa cosa si lascia ma non cosa si trova" ed ecco con poche parole instillato il timore del nuovo e del diverso. Nuovo e diverso che possono presentarsi in svariate forme e situazioni, e così appare più semplice restare fermi nel territorio che ben si conosce e che nonostante ci crei dolore e disagio, malesseri più o meno seri, è comunque una dimensione con la quale abbiamo dimestichezza e in cui sappiamo come muoverci. Senza contare che abbandonare quello spazio significa rischiare di imbattersi in una situazione peggiore, chi ci garantisce infatti che sacrificando tutto ciò che di conosciuto abbiamo non ci capiti di regredire anziché migliorare la nostra situazione?
Eppure, opporsi al cambiamento è, nella quasi totalità dei casi, controproducente.
Perché anche se stare immersi nella melma fino al collo ci impedisce ogni movimento, amiamo ripeterci che in fondo lì siamo al sicuro, che conosciamo quella melma, la sua composizione microbiologica, la massa, il peso e come si comporta a contatto con il nostro corpo, ci sentiamo parte di quella sostanza e ci crediamo a tal punto che ci sembra persino normale trovarci lì in mezzo.
Ma quando saranno trascorsi mesi, e i mesi saranno diventati anni, cosa avremo ottenuto costringendoci in quella melma? Volteremo la testa e ci renderemo conto che nel frattempo molti si sono spostati, ad un certo punto hanno deciso di uscire dalla vischiosa sicurezza che li aveva custoditi, hanno faticato, sofferto, perso certezze, fallito in certi ambiti, ma affrontando l'ignoto, quel salto oltre il muro, hanno deciso e accettato di cambiare, modificare il punto di vista, alzare lo sguardo e vedere che oltre c'era di più, guadagnando una libertà di movimento fino a quel momento impossibile.
Uscire dalla propria zona di comfort significa camminare per strade nuove, poter intraprendere percorsi sconosciuti, magari impervi, disseminati di rischi, strade lungo le quali è possibile fare incontri poco raccomandabili, inciampare e cadere, farsi male, piangere e soffrire. Ma oltre agli aspetti meno piacevoli del cambiare, quanto di buono può essere lì ad attenderci? E quanto di questo ci precludiamo restando barricati al calduccio nella nostra zona di comfort? Non possiamo sapere in cosa ci imbatteremo se decidiamo di abbracciare il cambiamento, non ci è permesso conoscere il futuro, e anche questo fa parte del grande gioco che è la vita, va accettato e affrontato.

Partendo dal presupposto che ognuno di noi è al mondo con uno scopo, una missione personale, più o meno evidente ai nostri occhi miopi e limitati di esseri umani, diviene facile capire che ogni strada intrapresa porterà non solo aria nuova alla nostra esistenza, ma anche opportunità e incontri che nel disegno dell'universo hanno una loro logica. Quante volte ci capita di riflettere su degli incontri fortuiti o su certe scelte magari fatte in maniera affrettata, che ci hanno condotto in direzioni mai prese in considerazione fino a poco prima? Perché in quanto individui siamo immersi in una moltitudine di legami e connessioni interpersonali che come tanti fili invisibili ci tirano di qua e di là come marionette spesso del tutto inconsapevoli.
Accettiamo di sederci da un lato e osservare il quadro a una ragionevole distanza, guardarlo nella sua interezza, cambiare prospettiva e punto di vista aiuta a non sentirsi radicati, ad assecondare quella innata necessità al cambiamento.
Di recente ho notato un aumento di consapevolezza nelle persone, sempre più introspezione, quel fermarsi a chiedersi dove si è diretti e perché, cosa o chi ci ha imposto o influenzato nelle scelte che condizionano ogni giorno la nostra esistenza. Come stiamo "usando" il nostro tempo, come lo investiamo, lo perdiamo, lo sfruttiamo. Cosa vogliamo dal futuro e da noi stessi.
E uscire dalla zona di comfort diventa una necessità impellente, una scelta, un cambiamento che non può più aspettare, va assecondato e prenderne atto è il primo passo, l'accettazione di un bisogno che se restasse inascoltato scaverebbe solchi profondi su di noi e come cicatrici segnerebbero la nostra pelle. Per sempre.
Vogliamo, un giorno, guardarci indietro e rimpiangere di non aver trovato il coraggio per affrontare il rischio? Lo vogliamo davvero?

"C’è una forza motrice più forte del vapore, dell’elettricità e dell’energia atomica: la volontà."
Albert Einstein

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